Ha scritto recentemente Alvise Marin, un saggista italiano: «Solo chi la vive sul proprio
corpo e nella propria anima, può fare esperienza reale della guerra […] un’esperienza
lesionante e desertificante, fatta di boati assordanti, dell’incendio e del crollo della propria
casa, dell’odore e la vista del sangue di corpi feriti o ammazzati, della fame e della sete, di
quel Reale traumatico che venendo prima di qualunque ragione può consegnarci a una follia
senza ritorno, della sospensione delle abitudini di vita, della disintegrazione del paesaggio
interno ed esterno e della costante sofferenza, legata a una condizione di inermità assoluta e
d’incapacità di vedersi proiettati verso un qualsivoglia futuro, inchiodati come si è all’orrore
del presente, nel quale spira incontrastato l’alito della morte. Chi invece la osserva al riparo di
uno schermo televisivo o di un computer, come noi, ne può fare tutt’al più un’esperienza
mentale, emotiva, spettacolare ed estetica, avendo sempre ben presente che nessun proiettile
potrà colpirci, che nessuna bomba potrà far saltare in aria la nostra casa, che la nostra vita non
è in pericolo e che dunque non saremo mai coinvolti realmente in quegli eventi.»
(https://www.altraparolarivista.it/2022/11/10/fantasmi-mediatici-e-voyeurismo-di-guerra-di-
alvise-marin/).
Allora per parlare della guerra in atto forse è bene dare la parola a chi questa tragedia la
sta vivendo, in particolare quella Ucraina: la più eclatante, pericolosa e vicina delle 150 circa
che si stanno combattendo nel mondo. Le testimonianze potrebbero essere tante: fra questa mi
colpisce quella dello scrittore ucraino Serhiy Žhadan, pubblicata su SettimanaNews (45, 12
nov. 2022). Egli scrive: «È questa la sensazione che ti accompagna dal primo giorno della
grande guerra: la sensazione di una frattura del tempo, di mancanza di continuità, la
sensazione di aria compressa, quando diventa difficile respirare perché la realtà preme, cerca
di spingerti dall’altra parte della vita, dall’altra parte del visibile. […] La realtà della guerra è
fondamentalmente diversa dalla realtà della pace proprio per questa pressione, questo torchio,
questa impossibilità di respirare liberamente e di parlare con facilità. […] A volte sembra che
il mondo, guardando a ciò che sta accadendo in Europa orientale negli ultimi sei mesi, utilizzi
un vocabolario e delle definizioni che, da tempo, non spiegano più nulla di ciò che sta
accadendo. Infatti, cosa intende il mondo […] quando parla del “bisogno di pace”?
Sembrerebbe che si tratti della cessazione della guerra, della fine del conflitto armato, del
momento in cui l’artiglieria tace e arriva il silenzio. Sembrerebbe che questa sia la cosa che
dovrebbe portarci a una comprensione. Dopotutto, cosa vogliamo, noi ucraini, più di tutto?
Certo, la fine di questa guerra. Certo, la pace. Certo, la cessazione dei bombardamenti.
Personalmente, come uno che abita al diciottesimo piano nel centro di Kharkiv, dove dalle
finestre in alto si può vedere il lancio dei missili da parte dei russi dalla vicina Belgorod,
desidero con tutto il cuore, appassionatamente, la fine degli attacchi missilistici, la fine della
guerra, un ritorno alla normalità, alla naturalezza dell’esistenza. Allora, cosa mette in guardia
spesso gli ucraini rispetto alle dichiarazioni degli intellettuali o dei politici europei sulla
necessità della pace? Certo, non si nega la necessità della pace. Si tratta piuttosto di capire che
la pace non arriverà solo perché la vittima dell’aggressione ha deposto le armi. La
popolazione civile di Buča, Hostomel’ e Irpin’ non aveva armi. Ciò non ha salvato queste
persone da una morte terribile. […] Alcuni non vogliono notare un semplice fatto: non c’è
pace senza giustizia. […] Forse, la resa degli ucraini aiuterà gli europei a risparmiare
sull’energia, ma come si sentiranno gli europei stessi, rendendosi conto (e sarà impossibile
non rendersene conto) che il calore delle loro case è stato pagato dalle vite e dalle case
distrutte di persone che volevano vivere in un paese pacifico e tranquillo?»
In effetti molti europei, pur sostenendo le posizioni dell’Ucraina, sono affetti da uno
strano strabismo: vorrebbero che l’Ucraina cessasse di difendersi e accettasse la cessione di
una parte del proprio territorio alla Russia. Tutti i grandi pacifisti e non violenti della storia si
sono però sempre battuti perché l’aggressore, il colonialista, il liberticida riveda le sue
posizioni: gli inglesi occupanti nell’India di Gandhi, i razzisti dominanti negli Stati Uniti di
Martin L. King, i segregazionisti al potere nel Sud Africa di Nelson Mandela. Ma opporsi agli
aggressori costa, obbliga a sacrifici, richiede tenacia e i popoli ricchi vorrebbero non essere
troppo disturbati (nel proprio tornaconto e nel “farsi gli affari propri”). È impossibile però
servire contemporaneamente due padroni, dice Gesù.
Molti altri partono da considerazioni geopolitiche, ossia che il mondo è diviso in blocchi e
che quindi sono i due o tre grandi dominatori politici che si stanno facendo la guerra per
procura. Gli Ucraini sono pedine di altri e quindi dovrebbero realisticamente tirarsene fuori
con sostanziose concessioni. In questi ragionamenti le morti, le distruzioni, le violenze non
hanno peso e il desiderio di libertà di un popolo è considerato ininfluente o addirittura “non
autentico”. Persino diversi autorevoli pensatori cristiani hanno aderito a questa posizione “più
realista del re”!
Certamente anche il difendersi implica l’uso di armi e vi è il rischio di essere trascinati in
una spirale di rabbia, di odio, di vendetta senza fine, come succede da decenni fra israeliani e
palestinesi. E qui entrano in campo tutti coloro che vogliono non solo perseguire una pace con
giustizia, ma riedificare la mitezza dei cuori, il superamento progressivo dei rancori. Processi
lunghi e difficili, ma possibili se si conserva una luce di fede e di speranza che si fa strada
progressivamente durante e a conclusione delle ostilità. Gli ucraini hanno bisogno di molti
aiuti - compresi aiuti spirituali di persone amiche offerti con uno spirito di comprensione e
condivisione - e non certo di prediche rinunciatarie e interessate.
Scrive Gandhi: «Chi non può proteggere se stesso o coloro che gli sono vicini e più cari o
il loro onore affrontando la morte in maniera non violenta potrebbe e dovrebbe farlo
affrontando in maniera violenta l’oppressore. Chi non può fare né l’una né l’altra cosa è di
peso (Gandhi, Per la Pace, p. 62). Dunque è sempre l’oppressore che va affrontato e, dato che
la resistenza non violenta (satyagraha) comporta una forte preparazione e battaglia spirituale
dentro e fuori di sé, è lecito e doveroso usare anche la resistenza per affrontare l’oppressore.
Chi non vuole prendersi la responsabilità di far fronte all’aggressione (con o senza armi)
spesso fugge o si rifugia nell’ipocrisia.
Un altro martire della non violenza “con giustizia”, Martin L. King, ha affermato: «Gesù
ha riconosciuto quanto fosse necessario unire gli opposti. Sapeva che i suoi discepoli
avrebbero dovuto confrontarsi con un mondo difficile e ostile […] Per questo disse loro:
“Ecco io vi mando come pecore in mezzo ai lupi … siate dunque prudenti come i serpenti e
semplici come le colombe” (Mt, 10, 16). Dobbiamo quindi unire una mente rigorosa e un
cuore tenero se vogliamo avanzare in maniera creativa verso la meta della libertà e della
giustizia…».
Da parte sua Papa Francesco sta unendo una grande passione e compassione per le immani
sofferenze del popolo ucraino (v. lettera Al popolo ucraino del 24 nov. 2022) con un’azione
incessante volta a trovare vie di pacificazione e mediazione. Egli scrive: «In questi mesi, nei
quali la rigidità del clima rende quello che vivete ancora più tragico, vorrei che l’affetto della
Chiesa, la forza della preghiera, il bene che vi vogliono tantissimi fratelli e sorelle ad ogni
latitudine siano carezze sul vostro volto. Tra poche settimane sarà Natale e lo stridore della
sofferenza si avvertirà ancora di più. Ma vorrei tornare con voi a Betlemme, alla prova che la
Sacra Famiglia dovette affrontare in quella notte, che sembrava solo fredda e buia. Invece, la
luce arrivò: non dagli uomini, ma da Dio; non dalla terra, ma dal Cielo.»
Il cammino della pace è spesso tortuoso, complicato. Purtroppo per essere concreto e reale
non sono sufficienti le opzioni assolute e idealistiche, ma soprattutto va combattuta
l’indifferenza, le ambiguità degli interessi sottostanti, le analisi che non si confrontano con il
dolore e la violenza subita dalle vittime. Gesù insegna ad amare il proprio prossimo come se
stessi, a volere per gli altri ciò che vorremmo per noi, se ci trovassimo nella situazione patita
dall’altro. Dunque, cosa vorremmo per noi se ci trovassimo nella situazione vissuta oggi dal
popolo ucraino? Vorremmo la fine delle distruzioni e violenze, ma non certo finire nelle mani
degli aggressori. Vorremmo che molti fossero solidali con noi e ci aiutassero. Vorremmo
essere liberi e riconosciuti. Vorremmo che chi ci minaccia fosse fermato, tornasse a casa sua.
Vorremmo ricominciare a vivere e ricostruire il nostro paese. Vorremmo diventare fratelli di
tutti coloro che vogliono stabilire buone relazioni reciproche e mettere al bando per sempre
guerre e aggressioni.
Dobbiamo quindi “sentire” il dolore dell’altro e farlo nostro: ma come? Nelle Beatitudini
Gesù propone dei modi per vivere con pienezza e in pace: «Beati gli afflitti,
perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno
fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno
misericordia. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.» Quindi è beato
chi si adopera per consolare gli afflitti e mettersi dalla parte di chi desidera giustizia, chi cerca
di sviluppare un cuore mite e misericordioso, chi si adopera per la pace, ma senza
disgiungerla mai dalla giustizia.
Il Bambino che viene in questo Natale 2022 è - anche oggi, tanto più oggi - il Re della
Pace: egli ci aiuta, se lo accogliamo, a sviluppare misericordia, mitezza, amore per la libertà
dall’ingiustizia e così cercare faticose vie di pace fra noi e fra i popoli!