Franco Del Zotto Odorico nasce a Codroipo (UD) nel 1960. Si diploma in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia e in restauro presso la Scuola di Villa Manin a Passariano. È autore di articoli, saggi e corsi su temi di restauro, storia dell’arte, conservazione dei beni artistici e culturali. La sua attività artistica da tempo unisce pittura, scultura, fotografia, installazioni usando tecniche varie e miste. Fra i vari interventi si annoverano installazioni ispirate ai versi di Pier Paolo Pasolini e padre David Maria Turoldo. Molto significative, nel suo percorso artistico, le opere eseguite per la Chiesa della Trasfigurazione di Parma che comprendono l’Albero della Trasfigurazione, la Scala posta nella Chiesa e un grande pannello inserito nella Cappella feriale. Oltre a varie mostre in Italia e all’estero, da tempo si occupa di realizzare opere di arredo urbano, quali sculture, fontane, facciate di poli culturali e così via. Continua la sua attività nella cittadina natale.
L’Albero è il segno identitario più forte della Chiesa e della Parrocchia della Trasfigurazione, nel senso che richiama alla costituzione di questo territorio come Comunità di vita e di fede. Come scrive Armido Rizzi (in Del Zotto, 1996): “L’Albero, (è) icona della Comunità”. Lasciamo subito la parola all’autore che, fortunatamente, ci ha lasciato una narrazione molto ampia del processo creativo - tanto in termini di sentimenti e riflessioni personali quanto di descrizioni costruttive -, del progetto di collocazione che faticosamente ha trovato il suo compimento, delle valutazioni altrui di fronte alle varie versioni dell’albero-scultura: «L’Albero è una struttura di circa 9 metri di altezza, realizzato in legno di cedro del Libano, ferro, cotto e foglia d’oro. Il legno, ricavato da scarti di piante secche colpite dal fulmine, è segnato in superficie da solchi profondi, e si completa con una struttura metallica intrecciata a formare una fitta maglia, che verso l’alto si dispone aprendosi a metà. Una lacerazione profonda, che guarda verso l’altare, si apre sul tronco; da lì si vede come l’albero, e con l’albero la sua anima, vada cercando una faticosa salita accartocciandosi e aggrovigliandosi su se stesso. L’anima in cotto, racchiusa all’interno, è travagliata da segni, pieghe e fessure; man mano che sale verso l’alto, si trasforma in oro luminosissimo. Evangeliario e Sacro Crisma sono dentro l’Albero.» (p. 83). Molto importante è la collocazione che, dopo varie ipotesi, è stata quella di posizionarlo vicino al fonte battesimale all’entrata della chiesa. Ciò per costituire un asse che unisce Fonte-Albero con Ambone e Altare. Nel programma originario tale asse doveva essere congiunto «da un tappeto musivo che, sfruttando il bianco del pavimento esistente, vede in esso inserite tracce di colore e di metallo, con inserti monocromi e policromi a immagine di un corso d’acqua.» (84) Il corso d’acqua ideale si sarebbe allargato intorno all’ambone e all’altare per creare una «circonferenza celeste ideale, quasi a macchia d’olio». Inoltre sull’ambone doveva essere posta un’aquila stilizzata a sostegno dell’Evangeliario. L’albero-scultura rappresenta un simbolo ineludibile e potente nello spazio liturgico in cui è stato collocato. Esso può essere letto a diversi livelli e secondo diverse risonanze. In primo luogo, è un grande albero, un cedro del Libano, e, in quanto tale, evoca tutti i significati che un albero centenario può suscitare, soprattutto in chi, entrando in chiesa, si trova immediatamente e direttamente a fare i conti con il suo diametro, la sua superficie, il suo slancio verticale. Subito dopo, rimanda al contesto liturgico da cui prende significati, con forti richiami all’Antico e Nuovo Testamento. Come ha indicato Rizzi (cit.), l’albero indica la vita nel suo sorgere, nel suo maturare e, volendo, anche nel suo compiersi. È un albero che mette le sue radici nell’acqua del fonte e sulla riva di un grande fiume, richiamando il verso del salmo: «Benedetto l’uomo/che ha radici nel Signore: è come l’albero/piantato lungo corsi d’acqua,/quando arriva il caldo/non teme.». Ancora con Rizzi, si può dire che un albero così svettante può richiamare il significato di «colonna del mondo: piantato al centro e principio di organizzazione»; asse fra cielo e terra, fra vita e morte, fra umano e divino. Ma qui prevale più immediatamente l’idea che l’albero è l’uomo, se vogliamo un uomo ferito, squarciato, un uomo fatto di carne, di natura, ma aperto al mondo da un desiderio infinito, da uno slancio vitale verso un cielo invocato. Un uomo che spesso mostra un cuore di pietra ma che può diventare spirito, anelito al divino, oro lucente! L’uomo, questo uomo fragile e imperfetto, può aprirsi, interfacciarsi con quel Cristo che lo guarda dalla croce gloriosa, dalla sua passione-morte- resurrezione. Cosa può dirgli? Cosa può capire da quella vicenda cosmica? È un uomo che ha deciso di non chiudersi più in se stesso (come magari ha fatto per tanto tempo attorcigliandosi intorno al suo IO), ma di aprirsi alla voce di quel condannato che gli grida, verso il quale ha deciso di muoversi a compassione (il Dio che “ha bisogno di noi”, di cui parla Etty Hillesum [1985-1990]). È allora che, quest’uomo tormentato, scopre che l’Altro lo ha amato da prima, più intensamente, più totalmente e che in questo amore vi è la via, tante volte smarrita, la verità del cuore e una vita più piena. Non a caso, l’altro canto spesso invocato nelle celebrazioni è il supremo passo di Paolo Apostolo (Cor. 3,18): «E noi tutti a viso scoperto,/riflettendo come in uno specchio/la gloria del Signore,/veniamo trasformati in quella medesima immagine,/di gloria in gloria,/secondo l’azione dello Spirito del Signore.” Volendo sfogliare ancora la cipolla dei simboli racchiusa dall’Albero, vediamo che esso porta in sé le stimmate del Cristo, del Crocifissorisorto, della Trasfigurazione dell’uomo Gesù di Nazareth in un Figlio di Dio: «Questi è il Figlio mio, l’eletto. Ascoltatelo!» (Lc 9,35). Infatti se si guarda l’Albero dall’altare o, idealmente, dal Crocifisso, allora lo si vede svettare verso il cielo in tutto il suo fulgore, con la sua imponenza, emanando il suo oro lucente che dà luce all’assemblea di coloro che si sono radunati per ascoltarlo e mangiare il pane che lui benedice e distribuisce. E qui ritorniamo al simbolo comunità. La comunità è costituita da “pietre vive” che hanno attraversato le difficoltà della vita, i dubbi, le traversie e si sono abbandonati all’Amore prezioso dell’Amico («Voi siete miei amici»: Gv, 15, 14), sono divenuti tralci di quella “vite vera” di cui «il Padre mio è l’Agricoltore» (Gv 15, 1). Ecco allora che questa Comunità redenta, se rimane in lui, può, nonostante la sua povertà e incompiutezza, annunciare la Buona Novella (l’Evangeliario custodito nelle viscere dell’Albero, così come il Pellegrino lo porta in petto e nel cuore) e battezzare nel Suo Nome chi vuole farsi ungere dal Crisma e avviarsi nel cammino della Sequela, nutrendosi di Pane, Vino e Parola.
Scrive il critico Paolo Meneghetti (2017): «Come poetava il famoso Reiner Maria Rilke, la pianta diventa in sé completamente “apertura”, in modo tale da costituire una basilare “porta”, che se da un lato sembra mostrare piccoli “varchi” del tutto incerti (nella faticosa “arrampicata” verso l’alto!), dall’altro lato libera nella sua sommità un più importante squarcio di “luce”, quello per raggiungere Dio. In un certo senso, la fondamentale apertura superiore fa morire il grande albero, ma il “martirio” naturalistico che si raffigura funge unicamente da status “preparatorio” per la Visione Suprema, l’Apparizione del Signore nella Gloria.» L’Albero è dunque un’istallazione di grande vigore artistico e risonanza simbolica, ma che assume una voce di tonalità pressoché unica grazie alla sua collocazione, che dialoga con l’intero spazio assembleare, con le sue liturgie e con le altre opere d’arte ivi collocate. Come ha commentato l’architetto Flavio Franceschi: «Il mio pensiero va a chi ha piantato in questa chiesa questo albero costruito dalla natura e riscolpito da mani dell’uomo. Penso al prete che ha voluto introdurre di nuovo il mistero dell’arte degli uomini nello spazio sacro della chiesa rinnovando e riproponendo la tradizione antica dei costruttori delle chiese cristiane ove è stata rivelata agli uomini la sacralità dell’arte.» L’albero, forse più di tutte le altre opere più chiaramente connotate, pare racchiudere e tenere insieme la dimensione naturalistica con quella artistica, quella artistica con quella spirituale, quella spirituale con quella religiosa, quella religiosa con quella della vita biografica e sociale. In questo senso, l’albero diventa spirale, evoluzione, metamorfosi e dunque capace di interpretare pienamente ciò che il suo nome dice: divenire un albero trasfigurato, l’Albero della Trasfigurazione.
Nella chiesa grande all’entrata dell’Assemblea, in corrispondenza della vasca battesimale. Sull’asse verticale del corridoio centrale che porta all’Ambone e all’Altare, sormontato dal Grande Crocifisso. Il legno e l’oro unificano gli “Ori della Trasfigurazione” e le varie opere d’arte poste nello spazio liturgico.