Margherita Pavesi Mazzoni (1930-2010), artista milanese (ma i nonni materni erano parmigiani) è vissuta per molto tempo a Montepulciano (Siena). La formazione artistica avviene a Brera sotto la guida del Direttore dell’Accademia, Aldo Carpi, e successivamente fa parte della scuola di Aldo Salvadori (insieme a nomi prestigiosi come Dario Fo, Ada Negri, Vincenzo Radino, Leonardo Cremonini e altri). Nei primi anni ’70, a Firenze, frequenta l’atèlier dello xilografo Pietro Parigi. Diverse le personali in paesi europei (Svizzera, Austria, Ginevra) e in Italia (Corsignano, Montepulciano, Rovereto, Milano le più recenti). Importante anche il suo cammino spirituale segnato dalle figure di Giovanni Vannucci (servita, priore all’eremo delle Stinche nel Chianti), Carlo Carretto, David Maria Turoldo, Enzo Bianchi, Ermes Maria Ronchi, Luigi Verdi e molte altre figure rilevanti. Le sue ceneri sono conservate ora nel cimitero della Casa Madre dei Servi di Maria a Monte Senario.
L’opera si ispira ad una raccolta di saggi di P. Giovanni Vannucci pubblicata a cura del Centro Studi Ecumenici Giovanni XIII un anno dopo la morte del Servo di Maria. Essa latamente richiama anche i “Racconti di un pellegrino russo”, un famoso testo ascetico ottocentesco noto per la “Preghiera del cuore”, tradotto dalla Pavesi in un’opera del 1982 titolata “Il Pellegrino russo” (e presentata a Parma nella mostra preparata per la quaresima del 2003). La figura rappresentata non è quella di un santo, ma piuttosto di un monaco, di un viandante, di un credente che tiene un libro d’oro in seno e un rosario che pende dalla cintura. La tavola su cui è riprodotto è ricavata da un attrezzo agricolo usato per tagliare il fieno. Con queste parole lo accompagna l’autrice nel catalogo del 2006: «A Te Signore,/verrò scarnita/con il mio fuoco e le mie ceneri,/con le mie radici amare e il nettare dei miei fiori.» L’oro avvolge la figura: emana una luce che trasfigura la materia - il legno vissuto, fessurato, consumato - e che risuona dello stessa vibrazione emanata dal libro. La figura del pellegrino è spoglia, nuda, essenziale, con la bisaccia a tracolla, segno del cammino prolungato e ininterrotto fra le strade e le asperità del mondo.
Così ha commentato Jean Cosse, architetto artefice di Chiese in tutta Europa, le icone della
Pavesi: «Sì, finalmente un’icona di oggi, evocativa, che invita alla preghiera” e così prosegue
Enzo Bianchi (1997): «Sì, legni trasfigurati, le icone della Pavesi aprono gli occhi verso
l’invisibile, invitano a penetrare in terre del cielo, aprono spazi di silenzio abitato, “segnano”
la divina presenza a chi le contempla…» e più avanti: «Questo spiega non solo l’apertura ma
anche la qualità ecumenica di queste tavole trasfigurate: non ci sono solo santi cristiani ma
anche hassidim e monaci sufi, monaci buddisti e induisti, tutti pellegrini, tutti viandanti
perché a loro questa terra non basta, questo mondo così com’è richiede trasfigurazione,
tutti testimoni di qualcuno che li riunisce al di là della forma delle fedi.»
Il Pellegrino è immagine di tutti coloro che tengono la Parola di Dio nel cuore, ossia di ogni credente che coralmente e personalmente intende partecipare alla celebrazione liturgica in virtù del Sacerdozio attribuito ad ogni fedele. Esso svolge un ruolo complementare rispetto al leggio centrale e all’altare in ogni celebrazione domenicale e solenne permettendo un’attiva partecipazione dei presenti.