XXVI domenica TO – B
Nm 11, 25-29; Gc 5, 1-6; Mc 9,38-43.45.47-48
CONFINI IMPREVEDIBILI
Noi siamo sempre tentati di stabilire confini, di definire, chi sta dentro e chi sta fuori, chi è dei nostri e chi non lo è. Spesso confondiamo la sequela di Gesù con la nostra sequela. I discepoli parlano a Gesù di un tale che «non ci seguiva». Ma, dice Gesù, che solo chi «segue con lui» è suo discepolo.
Gesù sembra ripudiare questi criteri, egli si mostra come colui che è talmente certo di ciò che possiede, che non teme che alcuno possa in qualche modo portarglielo via. Se ci pensiamo bene, infatti, stabilire confini, innalzare muri di difesa… non significa affatto credere di possedere saldamente la propria fede, ma anzi dichiarare apertamente le proprie incertezze, le nostre paure e insicurezze.
Gesù invece è talmente sereno nel suo rapporto con il Padre che sa con certezza che nulla e nessuno potrà mai attentare a questo suo «sereno possesso». E Gesù indica questa medesima via ai suoi discepoli e li invita a non credere di essere gli unici conoscitori dei confini del Regno, ma ad essere disponibili a lasciarsi stupire da confini «imprevedibili», a lasciarsi stupire da Dio che ci invita ad allargare lo spazio della nostra tenda per poter accogliere coloro che pensavamo lontani e abbiamo invece scoperto «vicini» (Is 54,2).
Per giungere a questo «sereno possesso» per il discepolo di Gesù occorre passare attraverso una morte: quella morte che porta alla vita. Nell’esistenza di ogni uomo e donna la morte è una realtà sempre presente. Paradossalmente la morte è ciò che ci permette di vivere e di crescere. Se guardiamo alla nostra vita dobbiamo constatare che ci sono delle piccole morti che ci fanno vivere. Anche il cammino della creazione del mondo è stato segnato dall’intervento «tagliente» della Parola di Dio: con la Parola la luce è stata separata dalle tenebre, il giorno dalla notte, le acque dalle acque, le acque dalla terra, dal fianco di Adamo, da una ferita nella sua carne, Dio trasse Eva.
Come per la crescita del creato e dell’essere umano la vita viene dalla separazione e dalla morte, così avviene anche nella nostra esperienza di sequela di Gesù! Anche nella nostra esperienza di fede infatti lo «scandalo», cioè l’ostacolo posto sulla strada della sequela e della fede, deve essere rimosso, e ogni rimozione è una ferita, una lacerazione, una morte… è questo ciò che sono chiamati vivere i discepoli di Gesù nel Vangelo: dei tagli che permettono la vita.
Nel Vangelo si parla di mani, piede, occhi che, se divengono occasione di inciampo, devono essere tagliati, cavati, gettati. I piedi sono il mezzo attraverso cui noi possediamo lo spazio e ci muoviamo: quando questo nostro rapporto con lo spazio diventa ostacolo e inciampo nella sequela, quando viviamo la tentazione dell’«onnipresenza» e dell’«onnipotenza» occorre tagliare, per avere un rapporto evangelico con il mondo; le mani sono il mezzo attraverso cui noi tocchiamo cose e persone, attraverso cui le possediamo: quando questo nostro rapporto con il possesso diventa ostacolo e inciampo nella sequela e viviamo la tentazione di «fagocitare» ciò che ci sta intorno, occorre tagliare, per riscoprire la logica evangelica del dono; gli occhi sono il mezzo attraverso cui si esprime e si alimenta il desiderio, il mezzo attraverso cui vediamo il mondo che ci circonda e ne contempliamo la bellezza: quando il nostro desiderare diventa «cupidigia» occorre tagliare per poter desiderare in modo autentico e avere il medesimo sguardo contemplativo di Dio.
Tutte queste morti e questi tagli possono condurci a crescere in quel «sereno possesso» proprio di Gesù per essere anche noi figli e figlie di Dio, «disarmati» perché consapevoli che nulla potrà mai separaci dall’amore…
Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli