Trasfigurazione Parma











XVII Domenica del Tempo ordinario - B


Ger 23, 1-6; Ef 2, 13-18; Mc 6, 30-34




FAME


Introduzione

Siamo arrivati alla soglia del racconto della moltiplicazione dei pani nel Vangelo di Marco e ora il lezionario liturgico dell’anno B ci proietta nel medesimo racconto di un altro evangelista, il racconto di Giovanni. Per diverse domeniche il breve Vangelo di Marco prenderà in prestito da Giovanni alcune pericopi tratte dal cap. 6 nelle quali troviamo il racconto della moltiplicazione e il discorso sul pane di vita.



Commento

Entriamo in una prospettiva molto diversa, un linguaggio differente rispetto a Marco: è il linguaggio di Giovanni che con il suo modo di procedere tende a condurci sempre più in profondità nella comprensione del mistero di Gesù.
Giovanni apre il suo discorso con indicazioni importanti: Gesù sale su un monte ed è vicina la Pasqua dei giudei. Due elementi significativi che pongono questo fatto della vita di Gesù in un contesto pasquale. Il gesto che Gesù compirà moltiplicando i pani e i pesci per sfamare la folla che lo segue ha a che fare con la Pasqua che è la festa che celebra ogni opera di salvezza che Dio ha operato e opera in favore del suo popolo. «È vicina la pasqua dei giudei», c’è un cammino di liberazione che il popolo deve percorrere, occorre un pane che lo sostenga, un cibo che gli dia la forza di camminare verso la Pasqua che ormai è vicina.
Oltre a questa indicazione esplicita c’è un altro elemento che segnala l’importanza del contesto pasquale. Giovanni sottolinea: «c’era molta erba in quel luogo» (v. 10). Questo elemento richiama il tempo primaverile quando le piogge ammantano di verde il suolo arido della terra di Israele. Un richiamo anche al cammino di Israele nel deserto nel quale, come il pastore del Salmo 23 (22), YHWH ha nutrito il suo popolo e lo ha condotto in pascoli verdeggianti. Questa contestualizzazione pasquale dà il tono e la chiave interpretativa del gesto che Gesù sta per compiere e del lungo discorso sul pane di vita che seguirà. Non si tratta solamente di essere meravigliati per un fatto prodigioso, ma occorre lasciarsi prendere dalla forza rivelatrice di questo testo composto da un gesto di Gesù - il gesto dello sfamare una grande folla affamata - e da un discorso, dalla parola di Gesù. Gesto e parola non possono essere separati, se non si vuole cadere nella incomprensione nella quale finiranno gli ascoltatori di Gesù. Tutti mangiarono il pane di Gesù, tutti ascoltarono la sua voce… ma pochi compresero le sue parole di vita perché non riuscirono a leggere tutto - parola e gesti - nella loro luce pasquale. Una luce che ci fa leggere il gesto di Gesù di sfamare la folla, appunto non come un atto miracolistico, ma come rivelazione del senso della sua opera, quell’opera che il Padre gli ha dato da compiere, quella cioè di saziare la fame dell’uomo, di liberarlo dalle sue schiavitù con il dono della propria vita. Per questo non è possibile separare il gesto di Gesù dalle parole che seguiranno. Se guardiamo solo il gesto di Gesù, possiamo pensare ad un miracolo, un atto prodigioso compiuto per stupire e per convincere i suoi interlocutori. Tutto finirebbe qui e questo gesto direbbe poco a noi oggi. E anche noi continueremmo a seguire Gesù perché ci ha sfami di pane materiale (Gv 6, 26).
Se guardiamo unicamente al discorso di Gesù potremmo invece dire anche noi, come molti dei suoi discepoli: «questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?» (Gv 6, 60). Potremmo cioè pensare ad un discorso astratto, un discorso teorico di Gesù, slegato dalla realtà e difficile da comprendere. Invece, se teniamo insieme il gesto e la parola di Gesù, se li consideriamo nella loro intima connessione, allora possiamo comprendere che entrambi parlano dell’amore di Dio per l’umanità che si è rivelato in Gesù fino al dono della propria vita. Questo gesto di Gesù, che sfama la folla e la libera dalla schiavitù dei propri bisogni, anche inespressi, diviene rivelazione del senso della sua Pasqua che abbraccia la sua intera esistenza e culmina con il dono della vita, con l’amore per i suoi portato fino alla fine.
Gesù alza gli occhi e vede venire verso di sé una grande folla, tutta l’umanità che porta in sé desideri e bisogni, ferite e limiti, fame e sete. Vede questa folla e la riconosce nella sua reale situazione, nella sua fragilità. Da qui la risposta di Gesù, la rivelazione del suo amore che lo conduce a mostrare a quella folla il solo pane capace di sfamarla. Nessun pane materiale sarà in grado di sfamare in profondità l’uomo nella sua fame, ma solo il pane di una vita resa “perfetta” nell’amore sarà il cibo capace di saziale l’uomo, di dissetarlo nella sua sete più profonda, con quell’acqua viva che in lui diventerà una sorgente che zampilla per la vita eterna (Gv 4, 14).
Per questo il cibo che Gesù offre è talmente abbondante da riempire dodici ceste. Quel gesto di Gesù, unito alla sua parola, non riguarda solamente coloro che erano presenti, né è avanzato, è talmente abbondante che ora può sfamare ogni uomo, perché quella moltiplicazione continua nella vita dei discepoli di Gesù che diventano come il loro maestro pane che sfama l’uomo nel suo bisogno più vero e profondo, l’amore. È un miracolo? Sì! È il miracolo di una vita trasfigurata ad immagine della sua: vita piena che si moltiplica e diviene vita per tutti.






Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli

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