Buongiorno a tutti. Sono contento di essere qui con voi. Parlo da questa prua
di nave che solca la storia. Questo è un luogo in cui sono venuto altre volte e
sono contento di tornare per le persone, per la bellezza che c’è qui, per Don
Pino che non è più in questa parrocchia, ma è rimasto in tanti altri modi. Allora,
il tema che mi è stato affidato: “pellegrini dell'assoluto, discepoli, apostoli in
una parrocchia del ventunesimo secolo.” Partiamo dall'icona, la guardiamo: un
mantello, una bisaccia, un grande rosario, la cintura, il libro della luce racchiuso
come una lampada. I segni che appartengono a molte religioni che non
dividono ma uniscono i cercatori dell'assoluto. Tutti pellegrini, non girovaghi o
randagi, perché i pellegrini hanno una meta. Quel libro dorato che tiene la
figura del pellegrino, mi ricorda che nel medioevo quelli che partivano per i
lunghi pellegrinaggi di allora, cucivano brani di bibbia scritti su pergamena
all'interno del loro mantello per tenerseli addosso e per rileggerli quando ne
sentissero il richiamo. Allora tutti viandanti incamminati perché questo mondo
così com'è non basta a nessuno, tutti testimoni di un qualcosa che ci unisce al
di là della forma, della forma delle fedi. Siamo anche noi così, pellegrini senza
strada, non si vede la strada del pellegrino dell'assoluto. Giovanni della Croce
dice: “Siamo senza strada, ma tenacemente in cammino perché Dio è sempre
oltre, in Dio si scoprono nuovi mari quanto più si naviga”. Dio è oltre le parole,
oltre i pensieri, oltre i dogmi, oltre la Chiesa. Dio non è ciò che penso di Lui,
non è ciò che dico di Lui. Le nostre parole sono come uccellini in gabbia che
sbattono contro le pareti, continuano a tentare di volare via o di dire poco piu'
del nulla che sappiamo di lui. Sbattiamo contro la gabbia dei limiti perché noi
tutti stiamo camminando ai bordi del mistero, rimaniamo ai confini della
galassia, Dio è oltre. Harbard diceva: “Dio è l'infinitamente altro che viene nella
storia perché la storia diventi infinitamente altra da ciò che è, viene per
alterare la nostra vita.” Apre davanti all'uomo e alla donna la diversità di una
vita vissuta secondo la diversità di Dio. Nel trattato logico filosofico di
Wittgenstein c’è una bellissima immagine, dice così: l'uomo è come un'isola, la
vita ti conduce a conoscere tutta l'isola, esplorarne il litorale, le baie, i
promontori, le spiagge e quando hai terminato il giro dell' isola, torni al punto
di partenza e ti pare di conoscerla bene la tua isola.
Ma la fede ci mostra che a quel punto, proprio dove l’ isola e la terra finiscono,
lì inizia l'oceano infinito e profondo e che la spiaggia è il luogo dove si
incontrano la sabbia della piccola isola e le onde del mare infinito, che dove
l'uomo finisce, inizia Dio. Ognuno è il punto di contatto con l'infinito, su questa
pelle viene a sbattere l'onda dell'infinito. Allora la vita, tutta la vita è dentro
l'infinito e l'infinito è dentro la vita. L'istante si apre sull'eterno e l'eterno si
insinua nell'istante, cioè l'uomo confina con Dio ma Dio è oltre. Noi nella fede
affermiamo che il nostro segreto non è in noi è oltre noi, allora nasce una fede
nomade, incamminata, mai installata per sempre, non a suo agio nel chiuso.
Don Benedetto Calati dice che Gesù é Dio caduto sulla terra come un bacio, un
bacio ti deve sorprendere, é più della parola. Devi andare vicino, devi toccare,
non si accarezza da lontano. Nel bacio i confini tra i due mondi si toccano, si
sfiorano, si disarmano, custodiscono scintille, un brivido. In Gesù possiamo
sentire il brivido di Dio. Posso dire che un brivido è molto più di un concetto.
Noi siamo appagati quando abbiamo una definizione di un concetto, ci
sentiamo al sicuro quando siamo al riparo di un bel dogma. Ma questo non
vale con il Dio biblico. I concetti davanti a Dio saltano, sono sempre paletti che
non recintano, non possono recintare né la vita dell'uomo, né la vita di Dio con
le parole, tanto meno recintare l'infinito. I concetti creano idoli. Solo lo
stupore, il brivido colgono qualcosa (San Gregorio di Nissa). Neanche i dogmi
possono farlo, perché sono sempre parole umane, categorie culturali limitate,
concetti storicamente datati che si dissolvono davanti al roveto che è Dio.
Eppure Dio non era nel roveto, non era nel terremoto, non era nel vento che
spaccava le rocce. Il profeta Elia lo scopre nella voce del silenzio, nel brivido del
silenzio. I concetti creano idoli e noi siamo pellegrini oltre i concetti. Pensate,
io dico credo in Dio Padre, lo confessiamo ogni domenica, lo preghiamo nel
Padre nostro, ma neppure la parola “Padre” basta per dire Dio, è solo una
metafora. Dio è altro: Dio è anche madre, è anche amico, è anche amante. Non
è il padre maschio adulto del nostro immaginario, è padre, madre, fonte della
vita, sorgente amorosa di ogni cosa, armonia, concordia. Non è solo padre e
madre, è anche figlio. Noi diciamo Dio è giudice e alla fine ci sarà il giudizio
universale. Si, lo crediamo, lo preghiamo, lo temiamo, alle volte lo temiamo
come un dito puntato. Eppure Dio è altro. É Padre misericordioso e la sua
misericordia ha sempre la meglio sulla giustizia, è un giudice dal giudizio
truccato perché saremo giudicati sul bene compiuto, non sul male “saremo
giudicati sulle azioni migliori della nostra vita, non su quelle sbagliate” (Matteo
25). Per questo giudice strano, il bene conta più del male. La sua giustizia non
è dare a ciascuno il suo, come facciamo noi, ma dare a ciascuno tutto se stesso.
La sua giustizia non è giudicare ma giustificare. E poi come puoi aver paura di
un giudice che ha dato la vita per te? Il simbolo della giustizia umana è la
bilancia, l'equilibrio tra i due piatti: dare e avere. Simbolo della giustizia di Dio,
è la croce. Nessun equilibrio, lo squilibrio, la follia dell'amore. Noi diciamo Dio
è onnipotente, lo ripetiamo ad ogni preghiera delle nostre liturgie fino allo
spasimo. Senti questa parola onnipotente, si è onnipotente ma nell'amore, nel
bene e non nel male che può solo ciò che l'amore può. Non può fare del male,
ingannare, dare la morte, distruggere, odiare. La morte non è volontà di Dio,
non può far sì che ciò che è stato non sia stato, che Gesù non sia venuto sulla
terra in quella stalla, in quel campo di pastori. É un onnipotente impotente
sulla croce e ci salva, non con la potenza ma con le piaghe, le ferite, la cosa più
debole di un uomo. Impotente anche davanti alla nostra libertà. La mia libertà
è l'unica forza che può fermare la forza di Dio. Dio è intelligenza, certo, ma è
anche follia d'amore. Dio è infinito diciamo, sì, ma a Natale cos'è: un pugno di
carne calda, un bambino di carne che può solo piangere e succhiare il seno. Le
nostre parole sono ancelle bramose di dire, ma poco più del nulla, di ciò che
sappiamo di lui. Dio è oltre e questo mi dà respiro perché in Dio si scoprono
nuovi mari quanto più si naviga avanti. Non bastano neppure le parole più
sante, non solo, ma neanche la parola di Dio è Dio. Gesù non è il pane
dell'altare, cioè, certo che lo è, ma è oltre. Prendete e mangiate, prendete e
bevete, lui è il corpo, preso il corpo, mangiato il pane spezzato. Se lo lasci
chiuso nel tabernacolo in quei pochi centimetri quadrati dorati e freddi, non è
il Dio per te che vive per te, lo rendi inutile Dio. Gesù è oltre il pane, oltre il
tabernacolo, è verità, strada e vita, è fuoco e luce che fa bruciare il cuore come
ai due di Emmaus. É l'amico sorridente che prepara pane e pesce per i suoi
sulla spiaggia del lago nell'ultima apparizione. É un corpo colpito su cui l'amore
ha scritto il suo racconto con l'alfabeto delle ferite. Direi che parole e pane
sono solo metafore, sono solo strumenti zoppicanti di una nostra
comunicazione imperfetta. Quando noi diciamo: “parola di Dio”, ma fino a che
il libro resta chiuso appoggiato su questa sua custodia, fino a che il libro è
chiuso, pieno zeppo di parole, noi pensiamo che Dio sia chiuso lì, sia chiuso
nelle nostre labbra o nelle nostre Bibbie come il genio nella lampada di
Aladino. No, è oltre la parola, è altro rispetto ad essa. Fino a che è chiusa nel
libro la parola è morta, è spenta. Vive se tu la fai vivere con gli occhi, con la
voce, con il cuore, si accende se tu l'accendi. Dio è nella parola che va, che
circola tra la Bibbia e il tuo cuore, nel movimento della parola che va e che
viene. Il nostro compito è quello di Santa Maria: incarnare la parola, cioè darle
tempo e cuore, farla diventare carne, sangue e scelte, solo allora è vera.
Dobbiamo aiutare Dio a incarnarsi, tutti madri di Dio. Incarnarsi in queste case,
in queste strade, in queste piazze, in queste chiese. Gesù è anche oltre il pane,
simbolo supremo delle nostre eucaristie. Lui è nel gesto di spezzare il pane, di
darlo come ha dato il suo corpo, il suo sangue, spezzare e dare: “prendete e
mangiate”. Lo riconobbero allo spezzare del pane, lì è riassunta la sua anima, la
sua storia, il suo sogno, non in una cosa. Per secoli la messa è stata chiamata
così: fractio panis, che vuol dire frazione del pane, spezzamento del pane.
Preso da Isaia quando dice : “spezza il tuo pane con l'affamato e la tua fame
finirà, illumina altri e ti illuminerai, guarisci la ferita ad altri e guarirà presto la
tua ferita.” Dio è nel movimento amoroso del prendere e del donare. Noi
abbiamo tanto insistito sulla prima parte della consacrazione eucaristica
“questo è il mio corpo” e abbiamo dimenticato i due comandi precisi,
raddoppiati: “prendete e mangiate, prendete e bevete”. Quello è il centro,
cioè, vivete di me, non tanto adoratemi ma vivete di me. Voglio essere
nutrimento, alimentare la vita oltre le liturgie, oltre le adorazioni eucaristiche.
Nella mia vita Dio abita quando tento di non lasciare questo mondo senza
essere prima diventato io un pezzo di pane buono per la fame e per la pace di
qualcuno. La nostra logica è spiazzata e portata sempre un passo più avanti, un
passo oltre e questo passo oltre del pellegrino è ricordato nella Bibbia
centinaia di volte da un'espressione che percorre come un filo rosso le pagine
del libro e che unisce due verbi che sono questi: alzati e vai. Nell'Aramaico, la
lingua di Gesù, quella del popolo, lingua di casa non di sinagoga, alzati si dice
kum. Talitha kum: bambina alzati dice alla figlia di Giairo morta. Ha detto a
Mosè: kum alzati da dietro il gregge di tuo suocero, da dietro i pochi agnelli e
vai dal faraone perché c'è un gregge infinitamente più grande che aspetta.
Giosuè: alzati kum e mettiti alla testa del popolo, alzati dalla paura, perché hai
la faccia battuta? Io sono con te. Giona, profeta pauroso: alzati kum e vai a
Ninive, la grande capitale, la città nemica. Alzati dalla tua vita comoda, agiata
tranquilla, dalla tua comfort zone e vai per mare e per terra, per tempeste,
sott’acqua, dietro a una parola di fuoco. Elia: kum, alzati da terra quando vuole
morire ed è sfinito. Alzati dalla posizione della sconfitta, mangia il pane, bevi
l’acqua, accogli la carezza dell'angelo e vai all’Oreb sulle tue gambe. Alzati,
amica mia, il Cantico dei Cantici, mia bella alzati, vieni, kum, alzati dalla casa di
tua madre, vieni presto! La pioggia è cessata, i fiori sono apparsi, il tempo del
canto è tornato. Alzati e vieni perché l'amato è oltre, sempre oltre. Avete visto
l'amato del mio cuore? Alzati Gerusalemme, rivestiti di luce perché viene la tua
luce. Alzati Giuseppe, kum prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in
Egitto. Alzati Partimeo, cieco di Gerico, coraggio, ti chiama. Mendicante cieco
alzati dal bordo della strada da dove sei seduto, butta via il mantello e vai
verso quella voce che vibra nell'aria, che ti chiama. Dio è altro rispetto alle tue
paure, altro rispetto alla tua cecità, alla tua solitudine. Dobbiamo alzarci per
incontrarlo perché è oltre. Circa duecentocinquanta volte nella Bibbia: “alzati e
vai”. Alzarci dalla fede per abitudine, dalla fede che crede di sapere tutto su
Dio e cercare. Noi apparteniamo ai cercatori di assoluto. Noi apparteniamo a
un sistema di ricerca, non ad un sistema chiuso, concluso, definito, fisso. E tutti
sono andati per strade diverse con la loro creatività. Questa parola, creatività,
mi spiega qualcosa della ricerca di quanto Dio sia oltre. Nella lettera di Papa
Francesco per la Giornata mondiale della Gioventù del 2021, proprio la parola
“alzati” è rivolta con audacia ai giovani e a tutto quello che è ancora giovane in
ciascuno di noi. Scrive: “alzati e testimonia la tua esperienza di cieco che ha
incontrato la luce, ha visto il bene, la bellezza di Dio in se stesso, alzati e
testimonia il rispetto che è possibile avere nelle relazioni umane con tutti
invece di queste guerre. Alzati e difendi la giustizia sociale, la verità e la
rettitudine, difendi i perseguitati, i poveri, i vulnerabili, quelli che non hanno
voce, i migranti, alzati e testimonia il nuovo sguardo che ti fa vedere il creato
con occhi pieni di meraviglia e ti dà il coraggio di difendere la nostra casa
comune, avvelenata e calpestata. Alzati e testimonia che le esistenze fallite
possono ripartire, che dove l'uomo dice finito, Dio dice ricominciamo, che le
persone schiave possono ritornare libere, che le persone spente possono
riaccendersi. Alzati e testimonia con gioia che Cristo è vivo, fallo a scuola, nel
lavoro, con gli amici, nel mondo digitale, dovunque tu abiti.” Allora vedete
altro è la fede e altro è la religione. La religione si conclude nei paletti di alcuni
riti e devozioni, la fede è infinita. L'ultima eresia, nel mio Veneto che conosco,
è quella di dirsi cattolici senza più essere cristiani. Cattolicesimo dove tutto é
spesso ancora cattolico:i simboli, i riti, il linguaggio, ma non c' è più
cristianesimo, non ci sono i gesti di Gesù, non c'è Vangelo scelto e praticato.
Sappiamo distinguere tra fede e religione? Io faccio mia la distinzione di Padre
Turoldo: “vuoi sapere quando é fede e quando è religione? Religione è quella
che si ritrova in tutte le credenze del mondo: portare Dio alla tua misura. Fede
vera è portare te alla misura di Dio”. La religione è abbassare l'asticella di Dio al
livello dei tuoi bisogni, fede vera è alzare l'asticella a livello del progetto, del
sogno di Dio. Allora quando noi abbiamo bisogno certo domandiamo,
chiediamo aiuto, è normale chiedergli di intervenire per quel centimetro che
manca, quell'esame che manca, quell' esito dell'ecografia o della tac che
aspetto, oppure tento di cambiare la mia vita sulla sua misura, di tenere alta la
vita. La nostra è fede autentica o semplice religione? É un granello di senape di
fede vera capace di spostare le montagne, ha detto Gesù, di far volare alberi
sul mare. Sarà capace di spostare qualcosina nella nostra vita? Di far volare un
pugno della mia terra verso il cielo? Una manciata di luce gettata in faccia al
mondo, questa è la fede. Trasfigurazione, quindi spostamento, dilatazione,
accrescimento, tutti termini che Dio ci spinge verso altre terre, verso altri
mondi. É il regno di Dio, è la nuova architettura del mondo dei rapporti umani,
un'altra tessitura dei legami della terra, più affettuosa, più giusta, più
armoniosa, più libera. Siamo tutti pellegrini dell'assoluto. Nei racconti
dell'incarnazione sono tutti in cammino Maria e Giuseppe, i Magi, l'angelo che
vola via dal tempio, i pastori, perché? Perché siamo fatti di terra, fuoco, aria,
acqua. Sono tutti elementi che si muovono. Tutto circola nell'universo, astri,
pianeti, fiumi, maree, vulcani, sangue, uccelli migratori, la vita è nel
movimento, se si ferma, si ammala. Diceva Aristotele: “la vita è nel movimento,
solo la morte è immobilismo”. Perché Gesù cammina per tre anni e non sta
fermo? Perché ci chiede di camminare con lui? Perché Dio é altrove, non lo
raggiungi mai. Ogni porta che apri si apre su altre novantanove porte, ogni
risposta su Dio apre novantanove domande perché dice: io sono la strada, io
sono la via. Per chi se non per i pellegrini dell'assoluto poiché il cammino è
infinito, la strada è interminata, letteralmente sterminata. Il nostro compito
allora è il coraggio di salpare ad ogni alba. Ogni immagine di Gesù, di Dio che
noi diciamo, porta scritto: più in là. Infatti l'angelo a Pasqua dice alle donne:
perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, vi precede. Andate, vi
precede, è un passo avanti e avanza ancora. È un Dio migratore che ama gli
spazi aperti, che apre cammini, che attraversa muri e spalanca porte. Pasqua
deriva da un verbo ebraico che vuol dire passare. Non è festa per stanziali, ma
per migratori, per chi inventa sentieri che fanno scollinare verso più giustizia,
più pace, più cura della vita, più armonia con il creato verso la Terra nuova.
Dove lo immaginiamo noi Dio? In chiesa, in sinagoga, in moschea? No, Dio è da
sorprendere nella strada, negli incontri, Dio é pellegrino fra noi da sorprendere
nel quotidiano, innamorato di normalità. Teresa d’Avila, diceva alle monache
che si lamentavano che avevano troppo da lavorare e poco tempo per pregare,
diceva questo che forse vale anche per tante donne di casa: “Dio va tra le
pentole non fra i candelabri d'oro, non fra gli incensi del tempio, ma tra piatti e
stoviglie della cucina.” La mistica Teresa intuisce qual è il verbo giusto da
applicare a Dio, dice: Dio va tra le pentole e non dice Dio sta. L’Eterno è
anch'egli un pellegrino come lo è stato Gesù. Gesù ha camminato per tre anni
su di una striscia di terra lunga poco piu' di settanta chilometri e larga trenta
tra il lago e il mare e nessuno sa il suo indirizzo perché vive in cammino. Allora
vorrei adesso aggiungere l'idea, che secondo me è forte, del Dio Pellegrino fra
noi. Gesù cammina di casa in casa per dire che Dio è in cammino tra le case
dell'uomo, per dire che Dio arriva alla tua porta e bussa. Dio non è chiuso nel
suo santuario, è in cammino per tutte le strade. Le parole, le tre parole chiave
che vorrei lasciare questa mattina sono: strada, gruppo e casa, per definire
anche l'identità parrocchiale della comunità in cammino. Come e dove noi
immaginiamo Gesù: seduto? Nella sinagoga? Nel tempio? Guardate il nostro
Dio è da sorprendere in cammino tra lago, olivi, vigne e in quelle quaranta case
in cui entra. Nel Vangelo ci sono quaranta case nelle quali Gesù è entrato, è più
nominata la casa che la sinagoga e il tempio insieme. Come aveva capito
Pasolini nel film “Il vangelo secondo Matteo”, Gesù è sempre in testa a quel
gruppetto di uomini e donne che arrancano dietro a prendere in faccia il vento,
il sole, le grida d'aiuto e le lacrime, anche gli insulti. Gesù camminando va in
cerca, vuole l'incontro. L'uomo si è allontanato, lui si avvicina, è l'avvento del
misericordioso senza casa che cerca casa e la cerca proprio in me: devo
fermarmi a casa tua. L'ha detto a Zaccheo, lo dice a ciascuno. Nessun rabbino
prima di lui in Israele, nessun maestro dopo di lui ha fatto questa scelta della
strada come casa. Unico tra i maestri dello Spirito ne ha fatto la sua aula e i
pellegrini dell'assoluto fanno quello che Gesù ha fatto per tre anni. E allora
ecco, lui camminando mi mostra che Dio non mi aspetta nei tre pellegrinaggi
annuali prescritti da Mosè “da casa tua andrai a Gerusalemme, al tempio”. E’
lui che si mette in pellegrinaggio verso di me, là dove vivo, un Dio innamorato
del quotidiano di umanità. Piace anche a lui pascolare non nei suoi cieli, ma nei
nostri pascoli terreni. Viene e non mi spinge ad andare in chiesa, mi spinge a
diventare chiesa. Vedete questa piccola icona? La chiesa è rappresentata da
alcune case in alto e da un pellegrino che abbraccia la colomba dello Spirito e
la colomba abbraccia lui con le sue ali, colomba che vola, che ci spinge a
diventare chiesa, non ad andare in chiesa. È molto di più. Perché la strada?
Perché Gesù ha usato la strada per tre anni come sua aula scolastica? La strada
è libera, laica e di tutti, non ti domanda tessere o green pass. Avvicina,
congiunge, cuce, allea, è apertura e non sai chi ti verrà incontro all'angolo
successivo, è povera ed essenziale. Il bagaglio piccolo impone il cammino e il
viaggio. La strada è il simbolo della vita. Infatti la nascita è il nostro primo
viaggio dal buio alla luce, dalla sola relazione con la madre a molte relazioni,
dal chiuso del grembo all'aperto, dal condizionamento alla libertà. Per questo è
così bello viaggiare, perché è come nascere di nuovo, la stessa esperienza.
Allora Gesù ci mostra il volto di un Dio con sandali da pellegrino che bussa alla
porta e la porta dell' uomo e della donna è il volto. A tu per tu, il corpo a corpo,
gli occhi negli occhi, il volto al volto. E dove se non nella casa? Noi non siamo al
mondo per essere immacolati, ma per essere incamminati. Tutta la Bibbia è
attraversata da questo ordine, come dicevo prima, kum, alzati per centinaia di
volte: verbo per chi era terra, ordine per chi si era seduto e si era lasciato
andare, verbo della risurrezione. Alzati, verbo degli inizi, di chi ha il coraggio
del primo passo, di avviare percorsi, di iniziare processi non di chi è arrivato
alla meta, ma di chi parte e si fida. Noi non saremo giudicati se siamo giunti alla
meta, ma se siamo partiti e ripartiti con un'infinita pazienza di ricominciare
cadendo sette volte, ma rialzandoci otto volte. Il nostro è un Dio migratore,
passatore di frontiere e noi pellegrini. É l’alternativa tra il viandante e lo
stanziale, il viandante non puo' accumulare, ma sottrae, alleggerisce, rende
essenziale la vita, la rende leggera. Il viaggio impone piccolo bagaglio e non
considera, camminando, l'altro un nemico ma un compagno di strada. Lo
stanziale, invece, fonda la vita sul possesso e per difendere i possedimenti
costruisce recinti e muri e assolda guardie e traccia confini e accumula. Il
viandante sente la vita come un sistema aperto, ama gli orizzonti, pronuncia un
sì alla vita, lo stanziale la sente come uno schema chiuso da paletti e divieti,
pronuncia un no alla vita. E la chiesa dove è nata? La Chiesa è nata su quelle
strade, è nata in uscita sulla strada, da tre anni di sentieri tra il lago e gli ulivi, è
la chiesa che ha la strada nel suo DNA, é libera, laica, di tutto nuova, ad ogni
passo proiettata in avanti, leggera, genera incontri, avvicina. Metafora questa
della vita riuscita, realizzata e compiuta. La prima proto-struttura della chiesa è
la strada. La seconda proto-struttura del cristianesimo è il gruppo, perché Gesù
cammina ma non da solo. Da subito associa sei uomini e donne. Con lui si
muove una comunità e non piccola perché con lui ci sono i dodici che
conosciamo, i cui nomi conosciamo, ma non solo loro, non solo gli apostoli, ci
sono altri tra cui sceglieranno il rimpiazzo di Giuda. Ci sono Mattia e Barnaba
scelti tra coloro che sono stati con loro fin dal principio, dice Pietro, oltre ad
altri quattro, cinque. Ma insieme con questo robusto gruppo di uomini
camminano anche molte donne che lo hanno seguito dalla Galilea (Luca 8) e
che non arretreranno di un millimetro dal perimetro della croce. Loro non
arretreranno, no. Allora la prima proto-struttura della comunità parrocchiale,
di qualsiasi gruppo ecclesiale è quella di persone insieme incamminate,
imparanti perché discepolo in greco significa imparare. Noi siamo discepoli
quando continuiamo a imparare, altrimenti moriamo. E tra queste persone,
questi discepoli imparanti, questo gruppo di oltre venti persone che cammina
con Gesù ci sono donne, credo belle e luminose, fiere, libere e c’è tenerezza tra
loro. Le due forze che salveranno il mondo, la bellezza e la tenerezza, le due
forze che devono salvare ogni gruppo. Quando nelle nostre comunità c’è
freddezza, quando c'è un deficit di tenerezza, non ci si conosce, non ci si
interessa dell'altro, non si sa neanche chi è seduto al nostro fianco, allora
quando c'è un deficit di tenerezza, ci sarà un deficit di felicità, un deficit di
attrattiva, di vocazione. La terza-proto struttura del cristianesimo è la casa:
“devo fermarmi a casa tua”. Questa è la casa di Zaccheo, pubblicano ricco,
odiato ladro, come ammette lui stesso. Non solo, ma capo dei ladri di Gerico.
Un caso disperato, si direbbe il peggio. Il Vangelo invece mostra che non c'è
mai il peggio per Gesù. Racconta di quaranta case in cui entra: nella stanza
della suocera di Pietro, in cucina tra le pentole di Marta, nel cortile in mezzo
alle barelle degli infermi, nella cameretta della figlia di Giairo appena morta,
ma soprattutto lo troviamo seduto a tavola. Il quaranta per cento del Vangelo
di Luca è ambientato tavola o ha come sfondo la tavola e il mangiare il pane.
Perché? Perché il nostro é un Dio innamorato di normalità e ti cerca là dove sei
autentico. La mistica inglese Giuliana di Norwich lo chiama God domestic, Dio
domestico, preferisce la casa al tempo. La casa è dove la vita celebra la sua
festa, dove la vita nasce, dove si forma il nostro capitale determinante che non
è quello economico, ma determinante è il capitale relazionale, le mie relazioni
fondanti, quelle che mi umanizzano. Vengo a casa tua, dice Gesù, perché
quello è il luogo dove tu sei più vero, più a tuo agio, dove la tua fragilità sarà
accolta da quella degli altri. Siamo tutti deboli quando siamo veri. La casa é
dove le persone sono più libere, dove si impara il mestiere di vivere, dove si
sperimenta l'amore, dove qualcuno ti aspetta, dove Dio viene, ti fa giocare in
casa, ti dà un vantaggio. É come se dicesse: vengo a casa tua, detta tu
l'agenda, prima vieni tu dopo io. E il Vangelo deve essere significativo nelle
case nei giorni della festa, in quelli delle lacrime, quando si abbraccia un figlio
che torna, quando si piange uno che parte, quando l'anziano perde il senno e si
cerca di esserne il braccio, l’occhio, la ragione. Dicevo, il quaranta per cento del
Vangelo di Luca è ambientato a tavola, nella casa preferisce la tavola. Persino il
Risorto per tre volte mangia con i suoi, amava sedere a tavola con gli altri, la
convivialità dove si rigenera la vita e l'amicizia e fa simbolo preferito del regno
di Dio il banchetto. E lo spezzare il pane, come si fa a tavola, è il segno per
riconoscerlo. Le tavole dove egli invita pubblicani e peccatori e mangia con
loro, scardinando le regole della purità rituale, convertendoli non con
prediche, ma con l'offerta della sua amicizia, non con sermoni dal pulpito.
Quelle tavole sono la frontiera avanzata del suo programma messianico. Penso
qualche volta se, al tempo di don Milani, il cardinale di Firenze invece di quelle
lettere che gli spediva avesse telefonato a don Milani e detto: “guarda don
Lorenzo, stasera vengo a cena da te, mi fai conoscere qualcuno dei tuoi
ragazzi?” Ma come sarebbe cambiata la storia! A tavola Gesù trasmette alcuni
dei suoi insegnamenti più importanti: gli ultimi saranno i primi, lava i piedi,
l’amicizia è un sacramento, dice. Ha celebrato l'ultima cena, se vogliamo la
prima messa, dove? A tavola, non in sinagoga. La tavola di casa è il primo altare
del cristianesimo, quello della chiesa viene dopo è un sostituto, un surrogato,
un ripiego. Dopo secoli arriva derivato non dal Vangelo, ma dalla tradizione
giudaica prima e pagana dopo. L'altare del sacrificio dove s’immolavano gli
animali. Gli altari non appartengono al cristianesimo come li vediamo oggi,
sono un'eredità spuria, un cascame culturale ereditato dal paganesimo e dal
giudaismo. Sono il luogo del sangue, del fuoco, del sacrificio. Gesù non parla
mai di altari, mai di sacrificio se non per dire: l'amore voglio e non il sacrificio.
Troppa importanza è stata data agli altari e a ciò che si fa attorno all'altare.
Troppa importanza al sacerdozio che ha nell'altare il suo luogo di potere e
troppo poco al sacerdozio battesimale comune, alla profezia e alla creatività
dello Spirito. Gesù non è venuto a insegnare nuove liturgie, ma a guarire il
disamore del mondo a partire dalle nostre case. Lui è il guaritore del disamore
del mondo. Ci insegna a non andarcene da questo mondo senza essere prima
diventati ciascuno un pezzo di pane buono per la fame e la pace. Allora il primo
altare del cristianesimo è la mensa di casa, frontiera avanzata del programma
messianico di Gesù. Il secondo altare, quello del fratello, il terzo per praticità,
quello della Chiesa. Allora le case dicevo, perché così tante case? É Dio che
abbraccia la vita e che ricuce lo strappo tra il Dio della religione e il Dio della
vita. Strappo che ha devitalizzato la nostra fede. Abbraccia la vita non dal
pulpito, ma dalla tavola, dalle relazioni calde della famiglia, dove Gesù offre se
stesso in condivisione di vita e di amicizia. Zaccheo si scopre amato, amato
senza nessun merito di amore preventivo, di un amore che lo anticipa, di un
amore senza clausole. Ed è questo ciò che lo converte: lo sbalordimento per
l'amicizia di Gesù. Ultima settimana di vita: Gesù tutte le sere, dopo l'ingresso
trionfale a Gerusalemme, domenica delle palme, la sera si reca a Betania in
casa dei suoi amici Lazzaro, Marta e Maria. Lunedì riparte per Gerusalemme,
ancora conflitti, dibattiti. La sera del lunedì torna a Betania, lo stesso fa il
martedì, lo stesso fa il mercoledì e poi giovedì mattina parte per non tornare
mai più. Ha bisogno di amicizia. Lui l'eroe cerca forza presso gli amici e, vedete,
ci mostra che Gesù non convoca eroi al suo seguito, ma uomini e donne veri,
autentici, capaci di amicizia, guariti dal disamore. Mostra che non siamo al
mondo per essere perfetti, ma per essere avviati. Nessuno resta innocente, ma
tutti possiamo ridiventarlo. L'innocenza non è una cosa che si conserva, ma che
si riconquista, perfino una donna con cinque mariti e il sesto era solo un
amante occasionale, perfino uno che ha rinnegato Gesù a raffica per tre volte
in pochi minuti può ripartire. E anche la parola parrocchia deriva dal greco e
significa fra le case. Il comparante è la casa, non la Chiesa. La casa dove la vita
è autentica e vera. La casa che è calore, bellezza degli affetti, intensità,
tenerezza. Gesù è il racconto della tenerezza del Padre, è venuto a portare la
rivoluzione della tenerezza. Noi siamo discepoli se siamo gli imparanti
tenerezza. La prima scuola, ce lo ripete Gesù per 40 volte, la prima scuola é la
casa. Discepoli e poi apostoli che significa mandati come i rider che corrono in
bicicletta a portare il cibo, il pasto, una richiesta di qualcuno. Noi siamo gli
imparanti tenerezza e poi, come i rider, inviati a consegnarla a chi accanto a
noi ne ha bisogno. Questa è l'immagine che vi lascio per questa riflessione, tre
parole: strada, gruppo e casa per dire che noi siamo incamminati sempre un
passo oltre. Davanti a noi non c' è una vetta da raggiungere, una scalata da
compiere, un Everest… Davanti a noi c'è un cammino. E chi ha il coraggio del
cammino ha il coraggio del cristianesimo.